La Gibilterra del golfo di Napoli.
Nel 1806 Napoleone occupò il Regno di Napoli, relegando Re Ferdinando in Sicilia. Nonostante ciò, e approfittando della scarsa attenzione dei francesi, gli inglesi -loro acerrimi nemici- occuparono l'isola di Capri, laddove stanziarono un cospicuo numero di soldati.
Oltre al particolare significato militare, di certo i francesi vivevano come uno smacco avere gli odiati inglesi proprio lì a due passi (o meglio a due bracciate) da loro, e così decisero di riconquistare l'isola: ma questo non era certamente facile, visto che l'approdo alla stessa era consentito solo dagli accessi marini di Marina Grande e Marina Piccola, fortemente presidiati dagli inglesi.
Ed allora, l'intelligenza tattica del generale Pietro Colletta (intelligenza ovviamente napoletana...) ideò una strategia: mentre si simulavano due attacchi ai porticcioli, il vero sbarco sull'isola venne effettuato dalla parte rocciosa di Anacapri, laddove i francesi -coadiuvati da un manipolo di arditi napoletani dotati di lunghissime scale- riuscirono a occupare l'isola cogliendo alle spalle gli inglesi, la cui resistenza fu vinta in pochi giorni.
Così Capri tornò nelle mani dei francesi e dei napoletani e poi solo di questi ultimi dal 1816 in poi.
Ed è facile pensare che, senza questo episodio, Capri potrebbe essere ancora oggi in mano agli inglesi: proprio come a Gibilterra, tuttora colonia britannica in pieno territorio spagnolo.
E così non si visiterebbe più la tipica "grotta azzurra", ma una insignificante "blue cave"; la famosa "piazzetta" sarebbe una ben più anonima "little square"; il locale di Guido Lembo, così osannato dai turisti, non avrebbe più l'appassionato nome di "Anema e Còre", ma quello asfittico di "Soul and Hearth"; e lì non si ballerebbe più la gioiosa tarantella ma il ben più compassato ballo del Morris.
E niente più impepata di cozze, spaghetti allo scoglio, totani e patate, o pezzogna all'acqua pazza: solo fish and chips e uova al bacon. E addio fiordilatte: a chi piace, solo blue stilton.
E di sicuro non si potrebbe avere il piacere di gustare un vino caprese come il Joaquin "dall'Isola" (da uve greco-giunghese, falanghina e biancolella), già postato, e che oggi ho voluto riassaggiare e fare assaggiare a chi non lo conosceva ancora: così raffinato nelle sue delicate note di camomilla e frutta fresca a polpa bianca, e dal sussurrato ed elegante finale minerale.
Vino unico, che oggi riconoscerei tra mille, e che solo l'esperienza e la caparbietà di Raffaele Pagano, e l'apertura mentale di Franco Senesi, potevano lasciare realizzare.
God save Capri e le sue straordinarie bellezze, fortunatamente partenopee!
Foto e testo di Luigi Delle Rose
Vino di Raffaele Joaquin Avellino Anacapri
Il resto, è poesia.
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